Le Vie dei Canti

“La terra deve prima esistere come concetto mentale.
Poi la si deve cantare. Solo allora si può dire che esiste.”

(Opere di Bruce Chatwin Vol. 3)” di Bruce Chatwin

Si credeva che ogni antenato totemico, nel suo viaggio per tutto il paese, avesse sparso sulle proprie orme una scia di parole e note musicali, e che queste Piste del Sogno fossero rimaste sulla terra come ‘vie di comunicazione’ fra le tribù più lontane. “Un canto” disse, “fa contemporaneamente da mappa e da antenna. A patto di conoscerlo, sapevi sempre trovare la strada.”

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“L’Australia intera poteva, almeno in teoria, essere letta come uno spartito. Non c’era roccia o ruscello, si può dire, che non fosse stato cantato o che non potesse essere cantato. Forse il modo migliore di capire le Vie dei Canti era di pensare a un piatto di spaghetti ciascuno dei quali è un verso di tante Iliadi e Odissee –un intrico di percorsi dove ogni «episodio» è leggibile in termini geologici. «Con “episodio” intendi “luogo sacro”?» gli domandai. «Esatto». «Luoghi come quelli di cui stai facendo la mappa per la ferrovia?». «Mettiamola così» rispose. «Ovunque nel bush puoi indicare un elemento del paesaggio e domandare all’aborigeno che è con te: “Che storia c’è là?”, oppure: “Chi è quello?”. E lui probabilmente ti risponderà: “Canguro” o “Budgerigar” o “Lucertola”, secondo l’Antenato che passò di lì». «E la distanza tra due luoghi del genere si può misurare come un brano musicale?». «Questa» disse Arkady «è la fonte di tutti i miei guai con quelli della ferrovia». Un conto era persuadere un ispettore che un mucchio di sassi erano le uova del Serpente Arcobaleno o che un monticello di arenaria rossiccia era il fegato di un canguro ucciso da una lancia, un conto era convincerlo che una vuota distesa di pietrisco era l’equivalente musicale dell’Opera 111 di Beethoven. Gli Antenati, che avevano creato il mondo, cantandolo, disse, erano stati poeti nel significato originario di poesis, e cioè «creazione». Nessun aborigeno poteva concepire che il mondo creato fosse in qualche modo imperfetto. La vita religiosa di ognuno di essi aveva un unico scopo: conservare la terra com’era e come doveva essere. L’uomo che andava in walkabout compiva un viaggio rituale: calcava le orme del suo Antenato. Cantava le strofe dell’Antenato senza cambiare una parola né una nota –e così ricreava il Creato.”