Mantra
Il mantra iniziale dell’Ashtanga Yoga è il modo in cui dedichiamo i meriti e gli sforzi della nostra pratica personale ai Maestri che ci hanno preceduto:
MI INCHINO AI PIEDI DI LOTO DEL SUPREMO GURU CHE INSEGNA LA VERITÀ,
MOSTRANDO IL SENTIERO PER CONOSCERE LA VIA DEL RISVEGLIO.
Questa frase simboleggia un profondo rispetto per Patanjali, inteso come Guru Supremo. [essendo gurunam plurale, riconosciamo non solo Patanjali come Guru, ma tutti i Maestri, i praticanti che hanno percorso questo cammino prima di noi]. Inchinarsi (Pranam) è un gesto comune in Asia. Metaforicamente ci aiuta a centrarci sul momento presente e a diventare più semplici, sensibili e umili.
“I piedi di loto” è una formula classica attribuita ai maestri, in quanto rappresenta l’elevarsi dalla condizione umana verso la consapevolezza dello spirito: il loto cresce in acque torbide eppure il fiore è immacolato, per questo è il simbolo di chi vive nel mondo senza esserne contaminato. Ci inchiniamo perciò, ai Guru che attraverso la pratica dello yoga hanno superato le insidie della vita e hanno ottenuto il Risveglio.
[essendo gurunam plurale, riconosciamo non solo Patanjali come Guru, ma tutti i Maestri, i praticanti che hanno percorso questo cammino prima di noi].
EGLI, AGENDO COME UN MEDICO DELLA GIUNGLA, ELIMINA I VELENI CAUSATI DAL SAMSARA
Jangalikayamane viene tradottto dal sanscrito come “guaritore”, “Medico della giungla” o “Incantatore di serpenti”. Il Medico della giungla è il saggio, lo sciamano, colui che conosce. Patanjali è l’incantatore, colui che è in grado di estrarre il veleno dai serpenti. Con questa immagine evocativa, riconosciamo il potere che ha lo yoga di essere un’ antidoto che elimina i veleni, cioè la sofferenza causata dall’eterno ciclo di vita morte e rinascita (Samsara)
[Nella vita quotidiana: Attraverso la pratica impariamo ad abbandonare gli schemi ripetitivi e familiari che mettiamo in atto, impariamo ad osservarci diventando noi stessi “guaritori”]
Egli ha la parte superiore del corpo di forma umana e impugna una conchiglia, un disco e una spada. Le divinità e i personaggi mitologici indiani vengono spesso raffigurati con sembianze animali e con degli oggetti simbolici che rappresentano le caratteristiche della divinità.
Patanjali, secondo uno dei miti, è figlio di Ādiśesa (signore dei serpenti e trasportatore di Vishnu) e la yogini Gonika: viene perciò raffigurato metà umano metà serpente. Ha a disposizioni alcuni oggetti rituali: una conchiglia, un disco e una spada (anche Visnu viene spesso raffigurato con gli stessi oggetti).
Nelle scritture induiste la conchiglia di Vishnu è conosciuta come la Shankha, e il suo potere consiste nel donare la fama, la longevità e le prosperità. Il disco invece, è la ruota del tempo: Sudarshana Chakra che indica la visione propizia.
Il terzo simbolo è una spada. Generalmente Visnu viene raffigurato con la mazza, chiamata Kaumodaki, in entrambi i casi è l’arma con cui si sconfigge l’ignoranza, è il simbolo della forza che dona la conoscenza.